Angelo Amaglio, presidente di Qintesi, chiarisce alle imprese della Pianura Lombarda che la trasformazione AI parte da basi solide: sistemi allineati, anagrafiche coerenti, processi documentati. Solo così gli agenti intelligenti possono generare risultati affidabili.
Nella parte conclusiva della serata AI – Amplify Ideas, quando sul palco del Centro Porsche Bergamo si sono susseguite case history, demo e applicazioni operative dell’intelligenza artificiale, l’intervento di Angelo Amaglio, presidente di Qintesi Spa, ha introdotto un punto di vista diverso, quasi “di sistema”. Non una nuova tecnologia, non un ulteriore esempio, ma un criterio di orientamento: che cosa deve guardare davvero un imprenditore per capire se e come adottare l’AI? Da dove si comincia? E soprattutto: come distinguere l’opportunità reale dal rumore di fondo? Amaglio parte da un dato semplice e spesso sottovalutato: «La tecnologia c’è. Il problema non è più la disponibilità tecnologica, ma il livello di maturità digitale delle imprese».
Non è un tema di strumenti, ma di ordine interno

L’intelligenza artificiale può fare moltissimo. Può confrontare ordini, leggere documenti, dialogare con un gestionale, ottimizzare processi, suggerire azioni. Ma tutto questo – avverte Amaglio – si regge su una condizione preliminare: i dati devono essere ordinati. È un’affermazione che molti imprenditori, travolti dalla complessità quotidiana, non sempre vogliono sentire: perché significa guardare dentro l’azienda prima di guardare fuori. «Vediamo quotidianamente imprese che non hanno sistemi allineati: codici articolo diversi nei vari software, anagrafiche incomplete, processi destrutturati. Così l’AI non può lavorare». L’immagine è netta: se la casa non ha fondamenta stabili, nessuna tecnologia può sorreggerla.
L’AI è potente, ma non fa miracoli: servono processi codificati

Amaglio ricorda che l’intelligenza artificiale generativa non attinge ai dati “di internet” quando deve supportare un processo aziendale. Lavora sui dati interni. E se quei dati sono incoerenti, sparsi o non aggiornati, il risultato non può essere affidabile. È qui che introduce un principio chiave della tavola rotonda: la qualità del dato riflette la qualità del processo. Un order-to-cash gestito diversamente da reparto a reparto, una produzione che non dialoga con il gestionale, una ricezione merci non registrata in modo uniforme: tutti esempi reali – dice Amaglio – che impediscono a qualsiasi agente AI di lavorare correttamente.
Da dove partire: guardare la propria “maturità digitale”

Quando l’imprenditore chiede quale tecnologia adottare, Amaglio ribalta la prospettiva: prima di scegliere uno strumento, occorre misurare il livello di maturità digitale della propria impresa. Che significa?
- verificare se i dati sono strutturati;
- controllare coerenza tra gestionale, magazzino e produzione;
- capire se i processi sono documentati o solo “tramandati a voce”;
- valutare se esiste una governance del dato.
Solo dopo questo check-up ha senso parlare di automazioni, agenti intelligenti o applicazioni generative. È una presa di posizione molto concreta: l’AI non è la bacchetta magica che “aggiusta” in automatico procedure confuse. Al contrario: amplifica il disordine se il disordine è già presente.
Il consiglio alle PMI: partire dai problemi, non dalle promesse
Durante il dialogo finale, Amaglio introduce un altro criterio utile: «Un progetto di intelligenza artificiale deve nascere da un’esigenza reale dell’impresa, non da una suggestione». Troppe aziende – aggiunge – si lasciano affascinare dai casi d’uso o dalle demo, ma non partono da una domanda concreta:
Qual è il mio problema? Quale processo mi rallenta? Quale decisione voglio migliorare? È da lì che si costruisce un progetto sano.
L’AI è accessibile: il vero limite oggi è il mindset
Un altro passaggio decisivo riguarda i costi. Amaglio è netto: il tema economico non è più una barriera. Le piattaforme gestionali incorporano già funzionalità AI. Microsoft Copilot, Google Gemini e i sistemi più diffusi stanno integrando agenti intelligenti. Modelli “as-a-service” e pay-per-use eliminano gli investimenti upfront. Le PMI non devono più acquistare infrastrutture: devono imparare a usarle. «Non è un problema di accessibilità. È un problema di orientamento, di mindset, di disponibilità ad affrontare l’innovazione». Una frase che riassume bene il clima della serata.
L’AI premia chi mette ordine prima di accelerare

Airoldi conclude con un messaggio chiaro e diretto: non esiste più una barriera economica all’ingresso dell’intelligenza artificiale. I big tech – Microsoft, Google, i provider dei principali gestionali – stanno già incorporando modelli generativi e agenti intelligenti nei loro strumenti.
L’AI non richiede investimenti impossibili: richiede orientamento, curiosità, volontà di iniziare. Chi resta fermo oggi rischia di perdere competitività nel giro di pochissimi anni. «L’opportunità non può essere persa.
Chi vuole un’impresa che stia nel futuro deve affrontare ora questo cambiamento».









