Non esiste successione senza tensioni: competenze da trasferire, equilibri da riprogettare, reti di protezione che scompaiono. Acerbis (PwC) chiarisce con Family.Biz di Pianura Network perché prepararsi è un requisito di competitività territoriale.

Le prime luci della sera filtravano dalle grandi vetrate del Golf Club Il Torrazzo, mentre la sala si riempiva di imprenditori, professionisti, figli, nipoti, manager per l’evento Family.Biz sul passaggio generazionale organizzato da Pianura Network. Qualcuno sorseggiava un bicchiere, qualcuno osservava la grafica luminosa del palco, qualcuno – più silenzioso – sembrava già immerso nei pensieri che la parola “successione” inevitabilmente innesca.
Poi, senza alzare troppo la voce, Fabrizio Acerbis (Partner PwC e presidente PwC TLS Avvocati e Commercialisti) lo ha detto:
«Il passaggio generazionale è sempre una crisi».
Un fermo immagine improvviso. La platea si è leggermente ricomposta sulle sedie. Non era la classica frase di apertura. Era una dichiarazione di realtà.
L’Italia che si regge sulle famiglie
Acerbis ragiona con i numeri. E i numeri raccontano una storia molto diversa da come la percepiamo:
in Italia l’82–83% delle aziende è familiare. Non solo piccole botteghe o imprese artigiane. Anche aziende che in Germania o Francia sarebbero già in mano a fondi o a manager esterni. Qui no. Qui il cognome è ancora la struttura portante dell’economia. E se la struttura è familiare, la successione non è mai una questione neutrale. È una scossa che attraversa persone, processi, equilibri interni, territori.
Non esiste alcuna transizione “naturale”. Esiste sempre un prima e un dopo.
Quando anche ciò che funziona è una discontinuità
La parola “crisi” non va letta in senso tragico, ma nel suo significato più antico: decidere, separare, trasformare. Ogni cambio al vertice – anche quello più lineare, più preparato, più desiderato – produce un movimento interno. È come spostare una colonna in un edificio: l’architettura regge, ma l’assetto vibra. Acerbis lo ha spiegato con esempi concreti presi da decine di progetti seguiti negli anni:
- un erede scelto da sempre, che però reagisce in modo inatteso;
- un fratello che non contesta la scelta, ma mostra un entusiasmo smorzato;
- clienti storici che osservano da fuori e si chiedono: «Sarà capace come il padre?»;
- manager che devono abituarsi a uno stile diverso, meno istintivo o più analitico.
È una crisi perché cambia il ritmo. E ogni volta che il ritmo cambia, l’azienda deve sapersi riequilibrare.
La rete di protezione che non c’è più
In passato gli eredi entravano in azienda e trovavano un ecosistema caldo: il capo officina storico che “li proteggeva”, il direttore amministrativo che li accompagnava, i tecnici senior che avevano conosciuto il fondatore da giovane. Quella rete tratteneva, consigliava, assorbiva gli errori. Oggi no.
La mobilità del lavoro, la tecnologia, le nuove competenze richieste dal mercato hanno cambiato profondamente quel tessuto. «Una volta – racconta Acerbis – le persone che ti circondavano diventavano la tua cintura di sicurezza. Oggi quella cintura non è più garantita». La scomparsa di questa rete rende la transizione più tecnica, più scoperta, più esigente. E impone alle famiglie una domanda che un tempo non esisteva: chi accompagnerà davvero la nuova generazione?

Il sondaggio in sala: la verità non detta
Durante l’incontro scorrevano sullo schermo i risultati del QR quiz. È stato un momento rivelatore.
In pochi secondi la sala ha mostrato il proprio volto:
- la maggioranza non ha ancora affrontato un passaggio generazionale;
- le paure principali non sono fiscali né tecniche:
sono i conflitti familiari e la difficoltà a trasferire competenze.
Non la tassa. Non la struttura societaria. Le relazioni. Il cuore del problema è sempre lì: dentro alle famiglie, nelle aspettative, nelle asimmetrie, nelle parole non dette.
Un mondo che corre più veloce delle genealogie
Il passaggio generazionale avviene mentre il contesto cambia in modo brutale:
- competenze che diventano obsolete in due-tre anni;
- processi decisionali percepiti come lenti;
- aziende familiari che, nei momenti di incertezza, ricentralizzano il potere;
- giovani che parlano tanto ma decidono poco, come ha ricordato con ironia lo stesso Acerbis;
- senior che fanno fatica a delegare in un contesto di complessità crescente.

È un paradosso: servirebbero decisioni rapide, ma la transizione rallenta tutto. Servirebbe innovazione diffusa, ma la paura dello strappo porta a muoversi con cautela. Servirebbe una cultura del dialogo intergenerazionale, ma spesso il dialogo non ha un terreno comune.
La continuità come responsabilità territoriale
C’è poi un elemento che Pianura Network porta sempre al centro: la successione non riguarda solo l’impresa. Riguarda il territorio. Acerbis è stato molto chiaro: quando un’azienda viene ceduta o si spegne senza un piano, il territorio perde valore. Lo ha vissuto in prima persona citando il caso Alumix, smantellata dopo l’ingresso di un grande gruppo internazionale: da 2.700 dipendenti a 240 in dieci anni. Non sempre va così – e infatti ha portato anche esempi positivi nel mondo della moda – ma il rischio è reale. E nella Pianura lombarda, dove la manifattura è identità, filiera, tessuto, questa perdita pesa il doppio.
Prepararsi alla crisi, non subirla
Il messaggio conclusivo di Acerbis non è tecnico. È culturale e organizzativo. Un’azienda familiare deve imparare a:
- parlare del passaggio prima che sia urgente,
- esplicitare aspettative e ruoli,
- preparare gli eredi fuori dall’azienda prima di portarli dentro,
- coinvolgere l’ecosistema, non solo i familiari,
- rendere la governance un processo, non un evento.
Perché la domanda che conta davvero non è: “ci sarà una crisi?” Ma: “come saremo capaci di gestirla?” È in quella risposta che si gioca il futuro delle imprese della Pianura. E, con esse, il futuro del territorio.









